Nella comunità del laboratorio

Foto dal In-boscati. ikariotico, laboratorio-spettacolo site specific di ScarlattineTeatro, qui in Repubblica Ceca

Foto dal In-boscati. Ikariotico laboratorio-spettacolo site specific di ScarlattineTeatro, qui in Repubblica Ceca

La condizione di essere davanti a un gruppo è fugace. Dura poco. Non so se neppure per tutta la durata del primo incontro di un laboratorio. Poi scatta qualcosa. E tu, pur mai tradendo il tuo mandato di conduttrice, sei nel gruppo, con il gruppo.

A pensarci, preferisco l’idea di traghettare, più che di condurre. Perché ciò che il gruppo compie, e con lui ogni individuo che lo compone, è un attraversamento. Di emozioni e pensieri, in primo luogo, per quanto le une e gli altri dipendano strettamente da quel che avviene anche a livello fisico, nel e col corpo di ciascuno e grazie all’incontro dei diversi corpi.

Penso al lavoro con gruppi non precostituiti di chi non sia professionista, né magari abbia alle spalle alcuna esperienza teatrale, indipendentemente dall’età. Penso al lavoro che si nutre della storia di ciascuna di quelle persone, che affonda in una comunità. E a sua volta, quel gruppo, microcomunità diviene.

Si conoscano da prima oppure no, quel che accade è che in breve emerge e cresce un senso di reciprocità e di comunanza che si rinsalda mano a mano che si procede verso l’altra sponda, quella che segnerà il termine del nostro attraversamento condiviso e della prosecuzione ciascuno della propria strada, di nuovo i piedi a terra uno avanti l’altro.

Nel laboratorio-traghetto, con i corpi, con la voce, accade che si apprenda nel concreto a gestire quelle distanze che sulla terra esistono, ma che troppo spesso si danno per scontate o si considerano malamente.
Accade che si scopra del nuovo di sé o a valorizzare qualcosa di noi di sottovalutato.
Accade di riscoprirsi parte di un tutto.

Spesso chi partecipa al primo incontro lo fa per vedere, qualcuno anche per capire, mantenendo magari un po’ alta la vigilanza − specie gli adulti −: non intravedere l’approdo può creare un po’ di disorientamento. Poi il qualcosa scatta e l’approdo passa in secondo piano.
A contare siamo noi, insieme. A giocare e metterci in gioco.
Per quel che siamo individualmente e per quel che rappresentiamo di unico e irripetibile in quel gruppo che ha bisogno anche di noi, in quell’attraversamento comune.